mercoledì 30 gennaio 2013

La modernità di Leopardi

Io sono una studiosa principalmente dell'Umanesimo, ma ogni tanto mi permetto di scavalcare questo pur affascinantissimo settore. Così talvolta mi ritrovo ad andare ancor più indietro nel tempo e a leggere Dante, che per me si configura come "il poeta", il solo che è riuscito a dare alla luce un qualcosa di così perfetto e 'sistematico' come la Commedia; altre volte invece sconfino nella modernità, fino ad arrivare a Leopardi.
In casa ho l'edizione critica ampliata e riveduta dei Canti curata da Emilio Peruzzi e pubblicata nel 1998 (la sua prima edizione leopardiana è del 1981).
Non vorrei assolutamente apparire pedante, ma penso che sia importante spiegare cos'è un'edizione critica: si tratta di un'edizione il cui testo è ricostruito in maniera scientifica dall'editore, ovvero utilizzando tutti gli accorgimenti messi a punto dalla filologia...
Si deve cioè ricorrere a tutti gli elementi necessari per ricostruire il testo voluto dall'autore, ricorrendo così a epistole, note autoriali, autografi, manoscritti, edizioni corrette a penna per mano dell'autore ecc.. Sulla base di tutti questi elementi, l'editore, con un complicato procedimento scientifico che qui sarebbe noioso stare a spiegare, cerca di scovare l'ultima volontà dell'autore, per metterla così a testo della propria edizione. In più, l'edizione critica presenta sempre, in calce al testo, il così detto apparato critico: una o più fasce contenenti le lezioni (errori o varianti d'autore) divergenti rispetto a determinati luoghi testuali, richiamati solitamente con numeri arabi e con sigle che si riferiscono ai vari 'testimoni' che esibiscono tali errori o varianti...insomma, si è capito che un'edizione critica può anche solo graficamente apparire ostica a un lettore non esperto di filologia. Tuttavia è l'unico tipo di edizione che permetterebbe una comprensione piena e completa della metodologia di lavoro di un autore.
Insomma, a casa ho l'edizione Peruzzi dei Canti di Leopardi. L'introduzione si apre con il nome di Francesco Moroncini, editore dei Canti (1927) che dette avvio alla critica delle varianti. Il Peruzzi però si distanzia dal Moroncini, in quanto pubblica il testo leopardiano così come è stato scritto da Leopardi, attuando un nuovo tipo di edizione critica: egli cioè offre in un secondo volume anche la riproduzione degli autografi leopardiani, di cui l'apparato critico rappresenta una ragionata lettura. Per questo parto da questa edizione: mi sembra un'intuizione ricchissima di sviluppi e utilissima per i lettori, che possono accedere agli autografi leopardiani dove e quando vogliono.
Sempre nella mia libreria ho anche l'edizione dei Mammut della Newton Compton, su cui ho fatto varie scorribande di letture. Anche questa edizione, malgrado il suo carattere economico, ha il pregio di riunire tutte le poesie, tutte le prose e il mitico Zibaldone del Leopardi. 
Spesso, avendo a che fare con studenti delle medie e delle superiori, mi sento dire se sia più grande Dante o Leopardi. Spesso infatti si tende a stabilire una gerarchia di valore tra persone e autori vissuti in epoche diverse e lontanissime tra loro: lo stesso fatto che Dante sia pienamente immerso nella civiltà medievale non permette di confrontarlo con Leopardi, che invece è a metà tra romanticismo e classicismo (o forse non è nessuno dei due, ma un qualcosa di originalissimo). Sta di fatto che Leopardi riscuote maggior successo di Dante tra i giovani: Dante appare lontano, la sua lingua è aulica e il suo sistema di pensiero può sembrare spesso troppo rigido e schematizzato. Insomma, sembra che i ragazzi delle scuole, quando leggono Dante, non trovino risposte agli interrogativi della vita, nelle sue opere. Il fatto è però che le risposte ci sono, solo che sono difficili da trovare. Leopardi invece è frammentario, un po' come Petrarca (tant'è vero che il linguaggio leopardiano risente fortemente di Petrarca, non tanto di Dante): lo Zibaldone, i Pensieri sono frammenti, scheggie dell'intelligenza multiforme del poeta di Recanati. Lui non ha un sistema come Dante. Lui si pone interrogativi moderni: il rapporto con la natura, il perché dell'infelicità cosmica. E si dà delle risposte: la famosissima e usurata questione della natura matrigna, e l'idea più positiva della solidarietà umana che emerge dalla Ginestra. E le sue domande, le sue risposte, la frammentazione della sua anima appaiono infinitamente più moderne rispetto al sistema solido costruito dal medievale Dante.
Perché l'uomo del XXI secolo è frammentario, proprio come Leopardi. Del resto, ora siamo nella post-modernità, cioè nel pieno della crisi del sistema globale. Oggi come mai Leopardi risulta attuale perché stanno cadendo uno a uno i valori che il Novecento credeva inatterrabili, e come Leopardi ci poniamo interrogativi fondamentali a cui cerchiamo di dare risposte. Ci identifichiamo in lui perché siamo come lui - ci manca solo la sua sterminata cultura e la sua capacità innata nel poetare...per il resto siamo uguali :-)

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