giovedì 27 dicembre 2012

Letteratura e potere: un connubio immortale

Studiando l'umanista poligrafo Maffeo Vegio, vissuto nella prima metà del '400, mi è stata confermata l'impressione di quanto la letteratura e, più in generale, il sistema culturale di un determinato periodo (anzi, direi di ogni periodo) siano legati al sistema politico e alle cerchie ristrette del potere. 
Il Vegio era una creatura del ducato visconteo: la figura di Filippo Maria Visconti attirava a sé molte personalità influenti dell'epoca, e anche la florida università di Pavia era uno specchietto molto appetibile per le varie 'allodole' in cerca di fortuna e di benessere che vivevano in quel periodo. Non solo il Vegio, semisconosciuto ai più, ma anche Lorenzo Valla, per fare il nome di uno degli umanisti più noti, scelsero la terra lombarda come luogo adatto ai loro studia.
Il Visconti era un duca, un principe, colui che aveva il potere e la facoltà di 'assoldare' i migliori poeti del momento per essere celebrato. E i poeti in questione lo sapevano. E che facevano?
La questua! Anche il Vegio provava e riprovava a pubblicare poesie - soprattutto elegie - poemetti e trattati, dedicandoli alle più influenti personalità laiche ed ecclesiastiche lombarde, infarcendo le sue opere di riferimenti adulatori all'Anguigero, cioè al Visconti stesso (Anguigero perché lo stemma dei Visconti era contrassegnato da una specie di serpente che stritolava tra le sue fauci un bel bambino grassoccio).
Insomma, gran parte dell'opera letteraria del giovane Vegio era adulatoria, dettata da esigenze 'pratiche'. Egli cioè mirava a ottenere una stabilità economica, una 'pensione' perpetua che gli assicurasse tranquillità e tempo per scribacchiare in santa pace.
E a voi pare che questa situazione tipicamente 'umanistica' non sia l'ETERNA situazione del letterato? C'è il potere politico ed economico, in mano ai vari Berlusconi che si sono avvicendati nel corso dei secoli, e c'è il sistema culturale, che va dietro al primo. Anche se forse aveva estremizzato un po' nella sua visione utopistica, in fondo Marx ci aveva visto giusto: tutto è sovrastruttura, eccetto l'economia. Tutto cioè ruota attorno al soldo, al dinero: e la cultura è dentro fino ai capelli.
Si scrive 'pro', non si scrive 'contro', pena la censura e la damnatio memoriae. E i poeti satirici? Se guardiamo bene, i poeti satirici dell'antichità, ma non solo, satireggiavano, è vero, ma utilizzando terminologie vaghe, allusioni più o meno sommerse, non erano mai più di tanto espliciti. E' vero che se si è troppo espliciti, allora non esiste più satira, che si fonda anche sul 'non detto'...tuttavia, i poeti satirici di ogni epoca 'letterarizzano' - se così si può dire - i problemi della società in cui vivono, li rendono evanescenti, poeticamente piacevoli e moralmente innocui, in fondo. Però, la letteratura satirica ha comunque un'elevata dignità: esprime la consapevolezza dell'uomo di fronte al marcio, lo sdegno dell'essere umano che prova a ribellarsi con l'arma innocua dell'ironia mordace. 
La letteratura satirica è insomma l'unico validissimo documento delle pecche del passato. Noi spesso idealizziamo il passato - è nel DNA dell'uomo: i nostri nonni dicono sempre che 'ai loro tempi' c'era più povertà, c'erano meno comodità, ma che 'si viveva meglio' - tuttavia anche il passato (tutto il passato, anche la classicità) ha i suoi buchi neri, le sue ombre spaventose, che fortunosamente ci sono note grazie alla sopravvivenza di opere letterarie satiriche.
Il Vegio, nella sua gioventù, non scrisse opere satiriche: era troppo impegnato a trovarsi una sistemazione sicura, una specie di posto fisso e a tempo indeterminato...e così entra di diritto nella schiera dei poeti cortigiani, un piccolo e antico Bruno Vespa - senza offesa, mio buon Vegio, rimani comunque il 'mio poeta!!!
E questa aspirazione cortigiana non si esaurirà nel tempo: il Vegio, avendo fallito col Visconti, cambierà sponda, e si schiererà dalla parte del papato. Siccome la Chiesa piglia un po' tutti, anche il Vegio centrò il bersaglio, e divenne finalmente parte stabile dell'entourage papale.
Il Vegio ha fatto quello che fanno molti dei letterati, vanno e vengono come il vento, scrivono per piacere al potente di turno, per avere un posticino tranquillo, anche se la coscienza magari è più sporca di quanto si creda. 
E noi piccoli e oscuri scrittori di oggi non scendiamo a simili compromessi, ma proviamo invece a far parlare - a far gridare, se necessario - il nostro 'io', senza paura di farci male, né di farlo agli altri: la sincerità del sentimento alla fine vincerà.

2 commenti:

  1. Eh sì, mia cara Nicolle, hai proprio ragione a dire che il legame tra mondo delle lettere e mondo del potere è stretto in una morsa letale.
    Voglio aggiungere un episodio: Hegel e Schelling.
    Nel 1801 Schelling chiama a Jena Hegel a insegnare. Hegel fino a quel momento faceva il precettore ai pargoli delle ricche famiglie svizzere (ti puoi immaginare che spasso....), grazie all'interessamento di Schelling Hegel fece le valigie e si trasferì in una ben più stimolante realtà.
    Hegel e Schelling lavorano in un primo periodo insieme, rinsaldano così i vincoli di un'antica amicizia. Sembrano essere in perfetta sintonia finché.....Hegel pubblica nel 1807 la Fenomenologia dello spirito ed attacca senza mezzi termini il pensiero di Schelling alle sue basi.
    Schelling ovviamente non la prende con filosofia - diciamo così :-) - e nel 1807 pubblica in risposta le Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà dove a sua volta attacca Hegel.
    Insomma, questo mi sembra un altro esempio da aggiungere alla carrellata sui comportamenti dei vari filosofi/letterati!

    Bello il tuo blog!!!
    Alla prossima,
    Verbena.

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  2. Ciao Verbe! Che bello il tuo commento filosofico!! Hai centrato bene il problema: è proprio vero che la storia si ripete, e anche i comportamenti umani, belli o brutti che siano, in fondo sono sempre dettati dalle stesse logiche...!
    Continua a seguirci mia cara!
    Un bacio, Nicolle

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